In occasione del Callas Day, sabato 2 dicembre alle 20.30, una serata ideata e condotta da Concita De Gregorio su simboli, amori, voci e misteri, a partire dall’incontro fra Pasolini e Callas sul set di Medea. Un dialogo con la didatta e filosofa della musica Francesca della Monica, lo psicoterapeuta e filosofo Umberto Galimberti, il drammaturgo e scrittore Petros Markaris e l’artista Francesco Vezzoli.
Teatro Grassi
Tra il luglio e l’agosto del 1969, durante le riprese di Medea a Grado, Pasolini – il regista – e Maria Callas – la protagonista del film – dormirono lì. Loro due da soli, ogni notte. Si amavano di amori diversi. Lei, racconta Dacia Maraini, era sicura che lo avrebbe “cambiato”, così diceva in quel suo modo un po’ infantile di esprimersi: che sarebbero infine divenuti una coppia. Lui amava l’incanto e il mistero di quella donna minuta dalla voce pigolante che in scena, improvvisamente, diventava immensa e tonante. Amava la sua fragilità e la sua potenza. Dove abita, quella voce – si domandava – da dove scaturisce, che cos’è. Lei gli lasciava fare tutto ciò che lui le chiedeva, in scena: persino restare sempre in silenzio, orbata del suo maggior talento. Lo aspettava. Era certa che lui sarebbe arrivato da lei ma non aveva, per formazione e cultura, lo spirito di iniziativa di andare lei da lui. Non si fa, diceva. Le donne non possono. Dunque aspettava, e aspettava ancora che fosse lui a fare quel passo, la metà di un passo, da cuccetta a cuccetta.
Il corridoio mai attraversato è il piccolo frammento di due immense vite che raccontiamo qui. La storia di quei due mesi: sessanta giorni che custodiscono un almanacco di simboli, di incantamenti e di misteri. Callas e Pasolini, quasi coetanei (lui del ‘22, lei del ‘23) si conoscono a metà della vita e si ri-conoscono. La difficoltà del vivere in un mondo in cui tutti li guardano e nessuno davvero li vede. I dolori, i disamori, le illusioni e gli abbandoni: lei reduce da Onassis, lui da Ninetto Davoli.
Anche Medea, del resto, è in prima istanza una donna abbandonata. Ma la solitudine, nel caso di Callas e Pasolini, non è la conseguenza della fine di una storia d’amore: è una condizione che li connota, li convoca. Il segreto delle voci – così sottili, nella vita quotidiana, e acute, in entrambi i casi – e poi invece enormi, incommensurate: lei in scena, lui nella scrittura. Destinati entrambi a incarnare la tragedia, a replicarne gli archetipi, a morire a cinquant’anni (lui a 53, lei a 54, poco dopo di lui). A diventare simboli – dunque immortali – non solo del Novecento.
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ReadTra il luglio e l’agosto del 1969, durante le riprese di Medea a Grado, Pasolini – il regista – e Maria Callas – la protagonista del film – dormirono lì. Loro due da soli, ogni notte. Si amavano di amori diversi. Lei, racconta Dacia Maraini, era sicura che lo avrebbe “cambiato”, così diceva in quel suo modo un po’ infantile di esprimersi: che sarebbero infine divenuti una coppia. Lui amava l’incanto e il mistero di quella donna minuta dalla voce pigolante che in scena, improvvisamente, diventava immensa e tonante. Amava la sua fragilità e la sua potenza. Dove abita, quella voce – si domandava – da dove scaturisce, che cos’è. Lei gli lasciava fare tutto ciò che lui le chiedeva, in scena: persino restare sempre in silenzio, orbata del suo maggior talento. Lo aspettava. Era certa che lui sarebbe arrivato da lei ma non aveva, per formazione e cultura, lo spirito di iniziativa di andare lei da lui. Non si fa, diceva. Le donne non possono. Dunque aspettava, e aspettava ancora che fosse lui a fare quel passo, la metà di un passo, da cuccetta a cuccetta.
Il corridoio mai attraversato è il piccolo frammento di due immense vite che raccontiamo qui. La storia di quei due mesi: sessanta giorni che custodiscono un almanacco di simboli, di incantamenti e di misteri. Callas e Pasolini, quasi coetanei (lui del ‘22, lei del ‘23) si conoscono a metà della vita e si ri-conoscono. La difficoltà del vivere in un mondo in cui tutti li guardano e nessuno davvero li vede. I dolori, i disamori, le illusioni e gli abbandoni: lei reduce da Onassis, lui da Ninetto Davoli.
Anche Medea, del resto, è in prima istanza una donna abbandonata. Ma la solitudine, nel caso di Callas e Pasolini, non è la conseguenza della fine di una storia d’amore: è una condizione che li connota, li convoca. Il segreto delle voci – così sottili, nella vita quotidiana, e acute, in entrambi i casi – e poi invece enormi, incommensurate: lei in scena, lui nella scrittura. Destinati entrambi a incarnare la tragedia, a replicarne gli archetipi, a morire a cinquant’anni (lui a 53, lei a 54, poco dopo di lui). A diventare simboli – dunque immortali – non solo del Novecento.
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ReadCredits
Callas-Pasolini
Il mistero della voce, il mistero dell’amore
ideazione e conduzione Concita De Gregorio
con (in ordine alfabetico) Francesca della Monica, Umberto Galimberti, Petros Markaris, Francesco Vezzoli
coordinamento artistico Davide Gasparro
Illustrazione © Dupuis/Briotti/Dufaux
L’evento fa parte del palinsesto Callas 100, promosso dal Comune di Milano,
in collaborazione con Teatro alla Scala, Gallerie d’Italia e Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Biglietti
Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria
Abbonamenti
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