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Teatro Grassi
Lupi. Si spostano verso Nord. In branchi. Percorrono
distanze enormi. Tutti insieme. Mangiano. Tantissimo.
Quando muore un lupo, il branco può disgregarsi.
Una madre, una figlia, una nipote. Tre generazioni simultaneamente in scena. Un'unica linea femminile legata alla vita, come per un incantesimo, dal più sottile dei fili, che si muove in acque scure e salate infestate dalle proiezioni, dai desideri e dall’amore degli altri e ritrova sé stessa in certi incontri improvvisi, nella bellezza di un frutteto, in tutto ciò che è acquatico e sommerso. In un caos in cui non si riesce a mettere ordine, le donne si parlano attraverso il tempo e le loro parole riecheggiano in una faglia aperta, nella casa di cui si ereditano e si tramandano intenzioni, auspici, domande. Per la prima volta in scena in Italia, Anatomia di un suicidio, della trentacinquenne drammaturga britannica Alice Birch, vincitrice con questo testo del Susan Smith Blackburn Prize, come uno spartito diviso in tre ambienti simultanei, rivela via via l’azione delle tre donne e le relazioni che le legano in un procedere per onde: quando una linea narrativa è attiva le altre due – visibili in parallelo – ne sono il contrappunto, il frutto o la matrice. Così la magistrale costruzione temporale che lega le protagoniste, il loro resistere o soccombere a una pulsione di morte che brilla nelle vite e in ogni incontro, si svela come un’oscura eredità familiare e storica tutta al femminile. Parole, azioni, oggetti e immagini si ripetono come ritornelli e segnali. E lo spettatore, in questa sincronia, eccitante e pericolosa, scopre affinità lontane nel tempo e nello spazio – in una danza mnemonica e somatica – tra relazioni e corpi, disaccordi e pulsioni.
Una scrittura d’ensemble per dodici attori che si chiede: cosa significa vivere. Cosa comporta scegliere di vivere? Quando si muore veramente? Il generare può liberarsi da un processo conservativo? Perché generare attiene al generare prole, al nutrire, generare caos e traumi, ma anche al generare sé stessi in ambienti, scelte e progetti. E saper deviare dall’ordine precostituito per sottrarsi al mondo per come esso – socialmente e moralmente – ci spinge a essere. Fino a guardare dentro certi rimossi dell’Occidente intorno alle istituzioni familiari e allo scandalo della morte. Sapendo che bisogna sbrigarsela da soli, che ogni nostra azione si inserisce in una genealogia, ma non genera fatalità, solo semplici precedenti – intesi in senso magnificamente giuridico.
Il filo da pesca non c’è più. L’amo non c’è più. La teiera non c’è più. Il
latte non c’è più. L’acqua non c’è più. La luce non c’è più. Ciao.
Piantala. Smettila. Il pezzo blu. Il pezzo rosso. Il pezzo freddo.
Il pezzo silenzioso. L’ancora non c’è più.
Durata: 3 ore incluso un intervallo di 15’ (1° atto: 65’ | 2° atto: 100’)
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Programma di sala
LeggiLupi. Si spostano verso Nord. In branchi. Percorrono
distanze enormi. Tutti insieme. Mangiano. Tantissimo.
Quando muore un lupo, il branco può disgregarsi.
Una madre, una figlia, una nipote. Tre generazioni simultaneamente in scena. Un'unica linea femminile legata alla vita, come per un incantesimo, dal più sottile dei fili, che si muove in acque scure e salate infestate dalle proiezioni, dai desideri e dall’amore degli altri e ritrova sé stessa in certi incontri improvvisi, nella bellezza di un frutteto, in tutto ciò che è acquatico e sommerso. In un caos in cui non si riesce a mettere ordine, le donne si parlano attraverso il tempo e le loro parole riecheggiano in una faglia aperta, nella casa di cui si ereditano e si tramandano intenzioni, auspici, domande. Per la prima volta in scena in Italia, Anatomia di un suicidio, della trentacinquenne drammaturga britannica Alice Birch, vincitrice con questo testo del Susan Smith Blackburn Prize, come uno spartito diviso in tre ambienti simultanei, rivela via via l’azione delle tre donne e le relazioni che le legano in un procedere per onde: quando una linea narrativa è attiva le altre due – visibili in parallelo – ne sono il contrappunto, il frutto o la matrice. Così la magistrale costruzione temporale che lega le protagoniste, il loro resistere o soccombere a una pulsione di morte che brilla nelle vite e in ogni incontro, si svela come un’oscura eredità familiare e storica tutta al femminile. Parole, azioni, oggetti e immagini si ripetono come ritornelli e segnali. E lo spettatore, in questa sincronia, eccitante e pericolosa, scopre affinità lontane nel tempo e nello spazio – in una danza mnemonica e somatica – tra relazioni e corpi, disaccordi e pulsioni.
Una scrittura d’ensemble per dodici attori che si chiede: cosa significa vivere. Cosa comporta scegliere di vivere? Quando si muore veramente? Il generare può liberarsi da un processo conservativo? Perché generare attiene al generare prole, al nutrire, generare caos e traumi, ma anche al generare sé stessi in ambienti, scelte e progetti. E saper deviare dall’ordine precostituito per sottrarsi al mondo per come esso – socialmente e moralmente – ci spinge a essere. Fino a guardare dentro certi rimossi dell’Occidente intorno alle istituzioni familiari e allo scandalo della morte. Sapendo che bisogna sbrigarsela da soli, che ogni nostra azione si inserisce in una genealogia, ma non genera fatalità, solo semplici precedenti – intesi in senso magnificamente giuridico.
Il filo da pesca non c’è più. L’amo non c’è più. La teiera non c’è più. Il
latte non c’è più. L’acqua non c’è più. La luce non c’è più. Ciao.
Piantala. Smettila. Il pezzo blu. Il pezzo rosso. Il pezzo freddo.
Il pezzo silenzioso. L’ancora non c’è più.
Durata: 3 ore incluso un intervallo di 15’ (1° atto: 65’ | 2° atto: 100’)
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Programma di sala
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La Locandina
sound designer Pasquale Citera
Biglietti
Categoria spettacolo Produzione
Platea Intero € 40 | Ridotto (under 26 e over 65) € 23
Balconata Intero € 32 | Ridotto (under 26 e over 65) € 20
Abbonamenti
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tel. 02 72 333 216
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