Primo appuntamento con il lavoro, l'arte e la poetica di Pippo Delbono: in occasione dello spettacolo La gioia in scena al Teatro Strehler, presentazione del libro La possibilità della gioia. Pippo Delbono di Gianni Manzella (Edizioni Clichy). Con l'autore intervengono Pippo Delbono e Silvia Bergero. Modera Anna Piletti
Chiostro Nina Vinchi
Attore e regista fuori dai canoni, Pippo Delbono è uno degli artisti italiani più conosciuti sulla scena internazionale oltre che un apprezzato autore cinematografico. Da anni i suoi spettacoli riempiono ovunque i teatri e dilagano nei festival più importanti d’Europa. Fin dal debutto sulle scene, ha creato un linguaggio teatrale di grande forza espressiva capace di coniugare il rigore della «danza nel teatro» con una dirompente carica visionaria. Un’esperienza che reca fortissima l’impronta anche biografica dell’autore. Quello compiuto dall’artista nell’arco di trent’anni si rivela un lungo viaggio che parte da una personale «malattia» (il sentimento di una diversità, la dolorosa elaborazione di un lutto, la scoperta di aver contratto l’hiv) per tramutarsi in strumento di conoscenza.
Frutto di un dialogo che dura da più di un ventennio, dove lo sguardo spesso prevale sulla parola, il libro accompagna il lettore alla scoperta di una delle più affascinanti avventure artistiche dei nostri tempi. Un viaggio dentro il viaggio dell’artista verso una lontana Itaca. Senza negarsi al racconto e neppure alla concretezza dell’analisi, a metà fra la scrittura saggistica e quella letteraria. Sperando che, con Kavafis, anche il lettore possa augurarsi che la strada sia lunga perché Itaca ci ha dato la meta ma quello che importa è il viaggio.
Attore e regista fuori dai canoni, Pippo Delbono è uno degli artisti italiani più conosciuti sulla scena internazionale oltre che un apprezzato autore cinematografico. Da anni i suoi spettacoli riempiono ovunque i teatri e dilagano nei festival più importanti d’Europa. Fin dal debutto sulle scene, ha creato un linguaggio teatrale di grande forza espressiva capace di coniugare il rigore della «danza nel teatro» con una dirompente carica visionaria. Un’esperienza che reca fortissima l’impronta anche biografica dell’autore. Quello compiuto dall’artista nell’arco di trent’anni si rivela un lungo viaggio che parte da una personale «malattia» (il sentimento di una diversità, la dolorosa elaborazione di un lutto, la scoperta di aver contratto l’hiv) per tramutarsi in strumento di conoscenza.
Frutto di un dialogo che dura da più di un ventennio, dove lo sguardo spesso prevale sulla parola, il libro accompagna il lettore alla scoperta di una delle più affascinanti avventure artistiche dei nostri tempi. Un viaggio dentro il viaggio dell’artista verso una lontana Itaca. Senza negarsi al racconto e neppure alla concretezza dell’analisi, a metà fra la scrittura saggistica e quella letteraria. Sperando che, con Kavafis, anche il lettore possa augurarsi che la strada sia lunga perché Itaca ci ha dato la meta ma quello che importa è il viaggio.