Claudio Longhi prosegue la riflessione sull’idea di Europa e sul rischio di una deriva dittatoriale, portando in scena La commedia della vanità del premio Nobel Elias Canetti. Lo spettacolo offre numerosi spunti di rilessione a partire dall'importanza dell’identità individuale per arrivare ad analizzare la decadenza dell’universo borghese. Modera l'incontro Anna Piletti.
Chiostro Nina Vinchi
La commedia della vanità (al Teatro Strehler dal 15 al 26 gennaio 2020) racconta di una realtà distopica, ma così terribilmente vicina all’Europa degli anni Trenta come a quella attuale, nella quale un editto bandisce la produzione e riproduzione delle immagini e l’uso degli specchi. Lo scopo sarebbe quello di limitare la vanità ma, più che l’autocelebrazione, a essere distrutta è l’idea stessa di identità. Partendo da questo presupposto, Elias Canetti riflette sulla relazione tra il potere, la morte e il binomio identità-massa.
«È una critica aspra, quella di Canetti, che non può lasciare indifferente il nostro presente, regno assoluto e incondizionato del selfie – scrive nelle note di regia Claudio Longhi –. Eppure il testo, nella sua crociata iconoclasta, ci induce a riflettere pure su come le dinamiche rappresentative siano effettivamente costitutive della dimensione identitaria. L’astinenza da immagine induce al dissolvimento dell’io, ma questo dissolvimento esaspera, per converso, il bisogno di io – aprendo la strada a sbandamenti populistici e autoritaristico-dittatoriali».
Lo spettacolo offre numerosi spunti di rilessione che saranno discussi nel corso di un incontro con la compagnia. Modera Anna Piletti.
La commedia della vanità (al Teatro Strehler dal 15 al 26 gennaio 2020) racconta di una realtà distopica, ma così terribilmente vicina all’Europa degli anni Trenta come a quella attuale, nella quale un editto bandisce la produzione e riproduzione delle immagini e l’uso degli specchi. Lo scopo sarebbe quello di limitare la vanità ma, più che l’autocelebrazione, a essere distrutta è l’idea stessa di identità. Partendo da questo presupposto, Elias Canetti riflette sulla relazione tra il potere, la morte e il binomio identità-massa.
«È una critica aspra, quella di Canetti, che non può lasciare indifferente il nostro presente, regno assoluto e incondizionato del selfie – scrive nelle note di regia Claudio Longhi –. Eppure il testo, nella sua crociata iconoclasta, ci induce a riflettere pure su come le dinamiche rappresentative siano effettivamente costitutive della dimensione identitaria. L’astinenza da immagine induce al dissolvimento dell’io, ma questo dissolvimento esaspera, per converso, il bisogno di io – aprendo la strada a sbandamenti populistici e autoritaristico-dittatoriali».
Lo spettacolo offre numerosi spunti di rilessione che saranno discussi nel corso di un incontro con la compagnia. Modera Anna Piletti.