Laboratorio teatrale di auto-narrazione, a cura di Michele Dell’Utri e realizzato dal Piccolo Teatro Milano in collaborazione con Municipio 2, nell’ambito del progetto Sguardi (d’)insieme – “Milano è Viva nei quartieri”
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Casa della Carità
Offrite gli spettatori come spettacolo, rendeteli attori essi stessi, fate in modo che ciascuno si riconosca e si ami negli altri, affinché tutti siano più uniti suggeriva Rousseau più di trecento anni fa in una riflessione sui contenuti che, a suo avviso, avrebbero dovuto avere gli spettacoli teatrali. Certo non poteva immaginare l’esperienza del teatro laboratorio che dal Novecento in avanti ha trovato forma e compimento.
Risulta comunque una utile premessa alla comprensione degli obiettivi del percorso Io sono l’immagine di uno spettatore che traslittera la propria posizione da “periferica” a “centrale”, da osservatore ad attore. Perché farlo? Forse perché il teatro, e ancor più il laboratorio teatrale, rimescolando le “regole ordinarie” di vita sociale consente la creazione di un habitus in cui tutto diventa possibile, anche ripensarsi? In fondo, non è forse il racconto un tentativo “disperato” di accogliere l’altro in sé e viceversa. Più che testimonianza fotografica della realtà, la narrazione teatrale autobiografica non può forse divenire anche parte del processo di costruzione – o ricostruzione – dell’identità di un individuo? Se “recitare” può essere sinonimo di “fingere” e, quest’ultimo, etimologicamente «può rivestire il triplice significato di modellare, immaginare e simulare» (Buonanno), raccontarsi “a teatro” non potrebbe assumere i medesimi connotati? Forma-azione dunque; sforzarsi di comprendere e farsi comprendere; giocare con la lucidità e la ludicità del teatro per tentare di superare il reale per reinventarsi.
Io sono muove da queste premesse in forma di domande, con la consapevolezza della liquidità progettuale di cui necessita un percorso che aspira alla costruzione di una relazione efficace con i partecipanti – mediante la condivisione diretta, esperienziale, laboratoriale di narrazioni di sé – con l’obiettivo di trascendere le barriere linguistiche, educative, sociali ed emotive per sperimentare la libertà del teatro: com-prendersi, prendersi insieme con gli altri.
Lei non ci capirà niente, ed io quasi non saprei spiegarle […]
È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire
mi si pensa. – Scusi il gioco di parole.
IO è un altro.
A. Rimbaud


Offrite gli spettatori come spettacolo, rendeteli attori essi stessi, fate in modo che ciascuno si riconosca e si ami negli altri, affinché tutti siano più uniti suggeriva Rousseau più di trecento anni fa in una riflessione sui contenuti che, a suo avviso, avrebbero dovuto avere gli spettacoli teatrali. Certo non poteva immaginare l’esperienza del teatro laboratorio che dal Novecento in avanti ha trovato forma e compimento.
Risulta comunque una utile premessa alla comprensione degli obiettivi del percorso Io sono l’immagine di uno spettatore che traslittera la propria posizione da “periferica” a “centrale”, da osservatore ad attore. Perché farlo? Forse perché il teatro, e ancor più il laboratorio teatrale, rimescolando le “regole ordinarie” di vita sociale consente la creazione di un habitus in cui tutto diventa possibile, anche ripensarsi? In fondo, non è forse il racconto un tentativo “disperato” di accogliere l’altro in sé e viceversa. Più che testimonianza fotografica della realtà, la narrazione teatrale autobiografica non può forse divenire anche parte del processo di costruzione – o ricostruzione – dell’identità di un individuo? Se “recitare” può essere sinonimo di “fingere” e, quest’ultimo, etimologicamente «può rivestire il triplice significato di modellare, immaginare e simulare» (Buonanno), raccontarsi “a teatro” non potrebbe assumere i medesimi connotati? Forma-azione dunque; sforzarsi di comprendere e farsi comprendere; giocare con la lucidità e la ludicità del teatro per tentare di superare il reale per reinventarsi.
Io sono muove da queste premesse in forma di domande, con la consapevolezza della liquidità progettuale di cui necessita un percorso che aspira alla costruzione di una relazione efficace con i partecipanti – mediante la condivisione diretta, esperienziale, laboratoriale di narrazioni di sé – con l’obiettivo di trascendere le barriere linguistiche, educative, sociali ed emotive per sperimentare la libertà del teatro: com-prendersi, prendersi insieme con gli altri.
Lei non ci capirà niente, ed io quasi non saprei spiegarle […]
È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire
mi si pensa. – Scusi il gioco di parole.
IO è un altro.
A. Rimbaud

